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Treme – 3×07 – Promised Land

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Treme ha la capacità di farti ballare al suo ritmo, di coccolarti con la sua tenerezza, ma anche di sbatterti in faccia, con pochi colpi decisi, tutto il dramma di cui New Orleans è ancora intrisa.
Se la musica è la gioia, i silenzi sono lo sgomento di un incubo che non è mai finito.
La tenerezza sta nello scambio di sorrisi tra “Big Chief” Lambreaux e Ladonna, nel goffo fare l’amore tra Janette e Davis, nel rapporto tra un Batiste oramai maturo e i suoi ragazzi.La gioia esplosiva esce dallo schermo nel frenetico montaggio centrale, dove spariscono le parole e resta la musica travolgente. Bastano però due silenzi per ricordarci dove siamo: quelli della famiglia di Henry che non può certo essere consolata dalle notizie di L.P., ma soprattutto nel laboratorio dei Guardiani delle Fiamme, dove basta un film per riportare a quei giorni terribili, in una breve processione che porta tutti davanti allo schermo. Un silenzio mesto, che stride con i colori di quella stanza, e che gela il cuore anche a noi che osserviamo.
Treme è il flusso della vita che gioca con i nostri sensi, sono le relazioni tra i suoi protagonisti, e il loro rapporto di amore-odio con la città. Una città che non solo è terra promessa, ma che si “incarna” spesso e volentieri in personaggio che interagisce con gli altri, ad orientarne le scelte, o come il terzo incomodo in una coppia.Il suo evento più importante, il Mardì Gras, non può che essere il momento in cui si tirano le somme del cammino. Anche l’anno scorso la puntata sul carnevale cadeva al settimo episodio: è utile vedere dove eravamo un anno fa,  ed è straordinario notare come molti dei nostri personaggi siano evoluti, altri abbiano fatto passi indietro, altri nonostante tutto siano ancora fermi al punto di prima.

PROMISED LAND

scritto da Simon&Overmeyer, diretto da Tim Robbins

Siamo al terzo Mardi Gras dopo l’uragano, e questo episodio ha una collocazione temporale ben precisa: è il 5 febbraio del 2008. E’ la notte del Super Tuesday in cui Barak Obama diventa di fatto il candidato dei Democratici alla casa Bianca (e la puntata guarda caso è arrivata proprio questa domenica), sono passati due anni e mezzo da Katrina, la città è a metà strada verso una rinascita che culminerà due anni dopo, almeno simbolicamente, con la vittoria dei Saints al Super Bowl e quel grido: “America, New Orleans is Back!”. I tanti cappellini col Giglio ce lo preannunciano.

In quel 2008 però l’America ancora non vede NO: non basta un evento patinato e luccicante se poi l’anima della città, la sua musica, riceve meno attenzione di un buffet, da politici e uomini d’affari incravattati che a quell’anima preferiscono apparenza, e affari. Nelson perde la sua maschera: era lì “solo per quello”.

Chi ormai ne è conquistato è L.P. I rapporti umani che ha tessuto nel suo lavoro non lo hanno lasciato indifferente, la musica ha fatto il resto. Il suo è un dietro-front verso un posto che farà fatica a lasciare: forse la sua terra promessa l’ha trovata.

Per un altro non-nativo, Terry Colson, il rapporto con la città è sempre stato tormentato, e da questa gabbia non riesce a uscire. Un anno fa era inizialmente nervoso, salvo poi sorridere al termine di una giornata che non aveva visto vittime. Stavolta è tutto rovesciato, fino a farlo rimpiangere di essere rimasto in quel distretto.

Un anno fa iniziavano anche a spuntare i primi contrasti tra Annie e Davis. I due hanno una storia molto simile: figli di famiglie ricche, hanno trovato in Treme la loro terra promessa; ma se per Davies è un punto di arrivo, per Annie è il punto di partenza, che paradossalmente la spinge lontana.

Opposta ad Annie è la strada di Janette: la sua carriera l’ha riportata a New Orleans, in maniera nuova e diversa, fino a spingerla a cercare la vecchia se stessa in quell’improbabile riavvicinamento a Davis.

Sofia un anno fa toccava il fondo, e anche quest’anno non è fortunata. Le sue  relazioni sono faticose: finita quella col fidanzato, con L.P. Che non si accorge di lei, con una madre ancora così iper-protettiva da non vedere che Sofia è comunque cresciuta, capace di sostenere la solitudine nel ricordo del padre, mentre vicino lei amici e musicisti possono farsi forza l’un l’altro nel rito del ricordo di Harley.

Sonny come un anno fa il Martedì Grasso lo vede da lontano. Oggi dietro la vetrina di un centro per tossicodipendenti, l’anno scorso su una barca a pescare. Ha girato in tondo, è tornato dove era, lasciando ciò che di buono si era costruito. Che riesca a ritrovarlo, non è scontato, anche se stavolta non è solo.

Ho lasciato per ultimi Lambreaux padre e figlio, nella scena per me più commovente della puntata. Il gioco di sguardi durante il ballo, sembrava tanto un passaggio di consegne, in quello che forse è l’ultimo Mardi Gras del Big Chief.

La puntata dello scorso anno era stata un trionfo di suoni e di colori, per mostrare i cittadini che si riappropriavano della loro città attraverso ciò che più la rappresenta. La scelta stilistica diversa, con la musica e la festa comunque cuore della puntata, riesce efficacemente a mostrare il momento differente che vive New Orleans.

Le scene a volte troppo didascaliche non pesano, anzi diventano il modo per amplificare e trasmettere ancora di più le sensazioni vissute dai personaggi.

Un montaggio come sempre straordinario, la carrellata di guest stars (Neville Brothers, Dave Bartholomew, Cosimo Matassa fresco di Hall of Fame come produttore rock, su tutti) e l’imbarazzo della scelta in un mare di scene deliziose, rendono fin troppo corta una puntata di un’ora e dieci.

Breve nota finale: mi pare che in particolare in questa stagione, Simon&Overmeyer abbiano scelto la storyline dell’Opera di Davis per inserire in ogni puntata il maggior numero possibile di vecchie glorie. Considerata l’età degli artisti in questione, Treme tra qualche anno sarà uno straordinario documento della storia della musica Jazz.

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